LE ORIGINI DELLA BUSSOLA MAGNETICA

18.08.2010 09:02

  

La Bussola Magnetica

 

Medaglia in bronzo dedicata a Flavio Gioia (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

 

La bussola, l'antico strumento per l'orientamento, risulta ancora oggi fondamentale per la navigazione marittima e aerea. Ma conosciamo l'origine del termine usato e abusato nel linguaggio comune? È probabile che il nome di «bussola» derivi dai perfezionamenti che questo antico strumento ebbe nel tempo proprio nel nostro Paese. L'ago galleggiante fu la prima rozza forma con cui si presentò lo strumento che in seguito, attraverso numerosi perfezionamenti doveva diventare l'attuale bussola magnetica. Chi conosce le moderne bussole nei loro particolari costruttivi e sa su quante rigorose considerazioni teoriche è fondata la loro costruzione, può misurare tutto il progresso che quello strumento ha compiuto dal suo primo apparire ai nostri giorni.

Il principio di funzionamento si basa sull'interazione tra l'ago calamitato e il campo magnetico terrestre: un magnete libero di muoversi, i cui poli non siano disposti lungo la congiungente tra i due opposti poli magnetici terrestri, subisce l'azione di una coppia di forze di modulo uguale, verso opposto e braccio non nullo, che lo fa ruotare fino ad assumere la direzione delle linee di forza del campo magnetico terrestre.

L'ago magnetico sarebbe stato usato in Cina fin dal 2634 a.C. Antichi annali cinesi riferiscono, infatti, di un carro sul quale si trovavano alcune figure dalle sembianze umane che con il braccio teso in avanti indicavano il sud, ossia il punto cardinale più importante per i Cinesi. Intorno al 1040 a.C. l'imperatore Tcheou-King avrebbe donato uno strumento indicante il Nord e il Sud agli ambasciatori di un sovrano di un Paese vicino.

Una descrizione precisa di tale carro si ritrova solo sotto il regno dell'imperatore Hian-tsoung (806-820 d.C.), mentre i primi accenni alle proprietà del magnete appaiono in un dizionario cinese del II secolo d.C. Tuttavia Marco Polo (sec. XIII) non parla della bussola in nessuna delle sue memorie.

A segnare le tappe fondamentali di tale progresso stanno due importanti perfezionamenti: la sostituzione dell'ago galleggiante con l'ago poggiante e girevole su di un perno, il tutto rinchiuso in una cassetta o bossolo da cui l'origine del nome nell'interno della quale veniva disegnata la rosa dei venti; l'unione dell'ago alla rosa graduata, disegnata su una piccola e leggera superficie piana, faceva orientare la rosa, il cui diametro Nord-Sud coincideva con l'asse dell'ago. Altro perfezionamento successivo, risalente al XVI secolo, fu la sospensione cardanica, così chiamata perché ideata dal matematico Girolamo Cardano e applicata, sembra dal cremonese Jannello Torrioni che l'introdusse sulle navi di Carlo V. A tali perfezionamenti, che sarebbero avvenuti, eccetto la sospensione cardanica, nei secoli XIII e XIV, la tradizione collega i nomi delle nostre repubbliche marinare, e segnatamente, come è noto, i nomi di Amalfi e di Flavio Gioia.

Altri storici sostengono che l'unione della rosa all'ago fu opera dei francesi, e che dall'inglese box (scatola) derivi il nome di «bussola». Chi sostiene tale ipotesi si basa che sul fatto che con il primato nautico dei Fiamminghi, degli Inglesi e dei Francesi, nei secoli XVI- XVII, gli Italiani furono superati nell'arte di costruire bussole. Ma se si considera che nell'antichità e nel Medio Evo il teatro delle più intense attività commerciali marittime fu il Mar Mediterraneo, dal quale si irradiavano i traffici non solo con l'Oriente, ma anche con l'Europa settentrionale, si è indotti a pensare che nel Mediterraneo, e non in Nord Europa, anche l'arte nautica vedesse perfezionarsi i suoi strumenti tra cui anche la bussola. La conoscenza dell'ago calamitato dovette raggiungere il Nord Europa quando già nel Mediterraneo era giunta dall'Oriente e si era largamente diffusa.

I primi cenni storici sull'utilizzazione in Europa della forza direttiva magnetica, come già citato, risalgono alla fine del secolo XII o al principio del XIII e attribuiscono agli Amalfitani lo sfruttamento delle proprietà del magnete. Verso l'anno 1000 oltre alla ripresa dell'interesse per la matematica e l'astronomia, che si espresse anche nella pubblicazione delle Tavole Toledane del 1080 derivanti da precedenti osservazioni astronomiche arabe, si verificò la scoperta delle proprietà direttive del magnete, la cosiddetta pietra eraclea degli antichi, che la impiegavano solo per scopi magici o rituali.

In quel periodo Venezia, Genova, Pisa ed Amalfi, sorte come comunità costiere autonome a seguito del disfacimento dell'Impero Romano e degli eventi storici successivi, si erano già affermate come città-stato con interessi prevalentemente marittimi; esse divennero, per necessità fucine di idee, di scoperte e di nuove realizzazioni nel campo della navigazione. È credibile quindi che ad Amalfi, come è nella tradizione, sia stata ideata, migliorata o adottata ai fini nautici la Bussola, mentre l'ipotesi che l'uso dell'ago magnetico sia stato trasmesso ai popoli occidentali per mezzo di intermediari indiani ed arabi, che percorrevano con i Cinesi l'Oceano Indiano è verosimile anche in considerazione del fatto che durante il periodo delle Crociate (1096-1291) si crearono notevoli rapporti politici e commerciali fra Occidente ed Oriente.

L'uso dell'ago magnetico presso gli arabi è attestato in uno scritto di Bailacel al-Kabiaki del 1282; per quanto concerne l'annosa diatriba sull'origine dello strumento, è significativo che in arabo esso sia designato come el bossola con termine di chiara derivazione italiana. Quel manoscritto, che racconta di un viaggio da Tripoli di Siria ad Alessandria avvenuto nel 1242, è molto interessante poiché descrive nel dettaglio l'uso dello strumento:

(...) i capitani allorché l'aria è oscura, così che non possono scorgere alcuna stella per dirigersi secondo i quattro punti cardinali, prendono un vaso colmo d'acqua e lo mettono al coperto dal vento, pigliano poi un ago fissato a una cannuccia in modo che galleggi e lo gettano nel vaso; in seguito, presa una pietra magnetica grande da riempire il palmo della mano, l'accostano alla superficie dell’acqua, dando un movimento di rotazione alla mano, in guisa che l'ago giri a galla e poscia ritirano la mano all'improvviso e l'ago con le sue punte fa fronte al Nord e al Sud (...).

Dell'uso dell'ago magnetico presso gli Arabi ne parla lo scrittore Edrisi del secolo IX, e anche il persiano Awfi dice che trovandosi, nel 1232-'33, a navigare in una tempesta dell'Oceano Indiano vide i marinai arabi mettere a galleggiare in una bacinella «un pesce di ferro calamitato».

Le stesse modalità di impiego si trovano in scritti occidentali tra i quali quelli del monaco agostiniano Alexander Neckam di S. Albano nella Summa de utensilibu, del 1180, e quelli di Guyot de Provins nell'opera satirica La Bible del 1190 (nella quale il Papa deplora che non sia per la Cristianità ciò che la Stella Polare è per i marinai). Anche in questi documenti si parla dell'ago infilato nel calamus, ossia una cannuccia atta a farlo galleggiare, da cui il termine calamita.

Il Bossolo del XV secolo

 

 

L’ago magnetizzato, all'inizio, veniva usato solo quando non era possibile orientarsi con gli astri. I marinai, conservatori per natura, davano poco affidamento a tale novità, per motivi parzialmente fondati: l'operazione non doveva essere semplice, la magnetizzazione temporanea, e l'indicazione poco precisa anche a causa del campo magnetico dovuto ai ferri di bordo, i cui effetti non erano ancora ben noti. Solo un secolo più tardi, verso la metà del 1200, fu creata la bussola a secco con le stesse caratteristiche tecniche rimaste in uso fin agli inizi del XX secolo, quando si passò alla bussola a liquido tuttora impiegata. L'ago galleggiante fu quindi sostituito da un ago mobile su di un perno, collocato in una cassetta (bossolo), per essere protetto dal vento e dalla pioggia. L'uso dell'ago imperniato viene riportato da Ugo De Bercy in uno scritto del 1248, e da Pietro Peregrino nella «Epistula de magnete» del 1269: è un breve trattato sulla bussola, che nel descriverne i vari modelli, insieme con l'alidada azimutale ed i coperchi del bossolo trasparenti e graduati, non riferisce se la rosa graduata fosse unita all'ago mobile.

Quest'ultimo importante perfezionamento, che si fa risalire al 1302, è per tradizione assegnato alle Repubbliche Marinare italiane e sembra possa costituire la reale innovazione attribuibile agli Amalfitani e, per loro, al leggendario e forse inesistente Flavio Gioia, come lascerebbe intendere Antonio Beccadelli detto il Panormita (1394-1471) nel suo famoso verso prima dedit usum magnetis Amalphis. Giovanni Pontano (1426-1503), che pure menziona «Magnetis Amalphis» nel De hortis gesperidum II. Da citare che l'inesistenza del personaggio Flavio Gioia è forse dovuta ad una erronea interpretazione storica. A testimoniare il primo uso fatto dagli Amalfitani della bussola era stato, verso il 1450, il forlivese Flavio Biondo, nato nel 1388, che nella sua Italia illustrata cita: Sed fama est qua Amalphitanos audivimus gloriari, magnetis usum, cuius adminiculo navigantes,   ad   Arcton   dirigentur, Amalphis fuisse inventum, (...); e tale testimonianza, è stata probabilmente erroneamente interpretata dagli scrittori successivi, portò forse ad attribuire l'invenzione stessa ad un certo Flavio, al quale, poi, sarebbe stato dato, da storici posteriori, il cognome di Gioia dalla sua presunta località di nascita.

Una ulteriore conferma, in maniera indiretta, del coinvolgimento degli amalfitani nel perfezionamento della bussola è rappresentato dal simbolo del giglio della casa d'Angiò e simbolo della città di Amalfi, con cui fin dal Medioevo si indica il Nord sulle rose; esso può essere interpretato anche come una evoluzione della lettera «T» iniziale di Tramontana, ovvero il nord degli Amalfitani, che così chiamavano il vento proveniente dai monti (o paese Tramontano) alle spalle della città.

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